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Non è la loro guerra (degli americani), ma si sa che al cinema la guerra è guerra, che si combatte soprattutto per lo spirito di corpo e che il codice dei rangers impegna a non abbandonare mai un compagno nelle mani del nemico. Materiale scottante, questo episodio di storia recente; soprattutto se affidato a un produttore come Jerry Buckheimer, che non ha la mano leggera con la retorica militarista (e nemmeno con quella cinematografica, d'altronde...). Ma il solido "militarismo" britannico di Ridley Scott e la sua grande energia spettacolare salvano _Black Hawk Down_. Elementare sul piano ideologico (ma spesso i film di guerra lo sono, o addirittura devono esserlo), ha il merito di concentrarsi per due ore piene e incessanti sull'azione militare: che è dura, frenetica, immersa nel sangue, nella polvere, nel pericolo, nelle esplosioni. Dopo una Pearl Harbor in chiave soap e le smandolinate del capitano Corelli, una pellicola bellica che non si concede respiro né alibi. Due gli Oscar, al montaggio curato da Pietro Scalia e al suono.
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